La Giornata mondiale del volontariato 2020 è stata, come da tradizione, occasione per proclamare i vincitori del “Premio Gattamelata”, un Premio nato dal CSV Padova per valorizzare e promuovere la cultura e la pratica del volontariato e della solidarietà a livello nazionale.
L’edizione 2020, speciale perchè dedicata a Padova capitale europea del volontariato 2020, ha visto 16 vincitori, distribuiti nelle 4 categorie previste: Impresa, Istituzione, Associazione, Volontaria/o.
Per l’occasione abbiamo intervistato due dei vincitori.
Alvise Moretti è tra i soci fondatori e presidente dal 2007 dell’associazione Popoli insieme che quest’anno compie trent’anni, anni a fianco dei migranti e rifugiati. Forte sostenitore del fare rete, ha sempre sostenuto la partecipazione dell’associazione alla rete del Centro Astalli di Roma. Negli anni da presidente ha fatto crescere l’associazione promuovendo esperienze di accoglienza diffusa in città di oltre 100 persone. Oltre all’accoglienza, “perché accogliere non basta”, Moretti ha organizzato attività culturali, formative e di sensibilizzazione con particolare attenzione alle scuole e ai giovani. Questa è la motivazione del premio Gattamelata, categoria volontari, assegnato il 5 dicembre, giornata internazionale del volontariato.
Buongiorno Alvise, non sei potuto essere presente sul palco a ritirare il premio, per via dell’emergenza sanitaria, cosa ci avresti detto?
“Ho guardato in televisione tutta la manifestazione di sabato scorso, e me lo sono chiesto anch’io – esordisce sorridendo Alvise Moretti ancora piacevolmente sorpreso di una candidatura giunta dal ‘suo’ consiglio direttivo che si è riunito segretamente per decidere di proporlo “a sua insaputa” per il riconoscimento – è un premio che attraverso me va a tutta l’associazione, a tutti i volontari attivi in questi 30 anni. E anche a tutte le persone che abbiamo aiutato, rifugiati e migranti. Sono persone cui abbiamo dato aiuto e visibilità, che sono state ri-conosciute nei loro bisogni; certo destinatarie di servizi ma parte di un cammino comune”.Ci sono relazioni che durano nel tempo, che diventano amicizie. Le difficoltà iniziali sono enormi; stiamo parlando di uomini e donne che hanno subito violenze, soprusi, torture. All’inizio non capiscono come sia possibile che l’uomo bianco – come spesso ci chiamano – possa agire in modo disinteressato, senza altri scopi o per sfruttarli. E’ un percorso lungo, di anni. Poi può capitare di rincontrarsi dopo molto tempo e ci si trova di fronte a persone compiute, che riconoscono, ringraziano, soprattutto sono partecipi e protagonisti di una loro vita”.
Ritorna un tratto distintivo dell’essere volontari: si riceva molto dalle persone con cui si entra in relazione, fare volontariato serve, e molto, a chi lo pratica. “E’ una scelta libera, questa è la sua forza e caratteristica. ‘Essere volontari’ si può scoprire casualmente, come è successo a me; facendolo ti arricchisce, ti fa crescere e cambiare a 360 gradi”.
E’ una bella palestra per i giovani? “certamente, me ne accorgo anche nel mio lavoro, quello di insegnante; sono molto colpiti – sconvolti forse è eccessivo – dalla gratuità con cui si opera. Veramente fate tutto questo senza compensi? più che le parole serve l’esempio, far loro respirare un’aria di testimonianza”.
A Popoli insieme i giovani non sono mai mancati, neanche in questi ultimi anni: “ovviamente sono diversi da come eravamo noi, 30 anni fa. Oggi c’è meno “fedeltà associativa”; il volontariato è vissuto come un’esperienza, dopo alcuni anni si può cambiare. Ci sono aspetti positivi in tutto questo. Nella nostra associazione la presenza di universitari è prevalente, moltissimi sono i fuori sede che, terminati gli studi, tornano nei loro territori di origine.
Il Covid e l’emergenza sanitaria ha imposto molti cambiamenti in associazione, soprattutto nel periodo di isolamento forzato: servizi tagliati o sospesi, problematiche di vario tipo dentro le strutture di accoglienza; e poi una ripresa che si è caratterizza con tantissimi nuovi bisogni, con tante persone in strada.
“Ci siamo però stupiti di come l’utilizzo di nuovi strumenti, quelli della comunicazione digitale ad esempio, ci abbia permesso di raggiungere moltissime persone, un nuovo pubblico. Noi siamo impegnati anche in tante attività culturali e di formazione; ad esempio aver inventato A cena con, un appuntamento nelle cucine di alcuni migranti che di volta in volta presentano le loro ricette e le cucina tipica dei loro paesi di origine, ha avuto un successo per noi inaspettato.” Alvise non lo dice ma si capisce che lo pensa: ogni difficoltà ha in sé anche la soluzione e il cambiamento. “Bisogna essere disposti a reinventarsi e si incontrano nuovi mondi”.Per concludere chiediamo se c’è un oggetto simbolico che avrebbe portato con sé sul palco, alla premiazione. Ride divertito, non ci aveva pensato, ma questa sollecitazione fa concludere Alvise Moretti con un ricordo, vivo, forte e preciso: “30 anni fa l’associazione – e il mio impegno come volontario – non sarebbe nata se non fosse arrivato a Padova padre Benvenuto Mendeni SJ, missionario gesuita che dal Ciad è arrivato in città per ricoprire l’incarico di Direttore del Centro Giovanile Antonianum. Era il novembre del 1990 e con il sostegno di un gruppo di giovani della Lega Missionaria Studenti, che nell’agosto di quell’anno aveva partecipato ad un campo di lavoro in Burkina Faso, ha preso il via l’avventura che tuttora viviamo. Padre Benvenuto è stato la scintilla che ha cambiato molti di noi, una rivoluzione per lo stesso Antoniuanum”.
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Il Clan “Primavera nascente” gruppo Monastier 1 scout Agesci ha dimostrato un’elevata capacità nel “reinventare” tutte le proprie attività nel periodo di emergenza per il Covid-19, mantenendo lo spirito altruista e gioviale in ogni momento. Il gruppo composto da 21 ragazzi/e durante il lock-down si è adoperato in attività di servizio e volontariato di forte impatto sociale e di solidarietà a sostegno alla comunità di Monastier, si legge nella motivazione del premio Gattamelata, categoria associazioni, assegnato il 5 dicembre, giornata internazionale del volontariato.
Cosa avreste raccontato se foste stati sul palco del teatro Verdi a ritirare il premio, abbiamo domandato in una chiamata zoom a due capi e due aiuti del gruppo del trevigiano?
“Il clan di Monastier aveva concluso da poche settimane una esperienza forte di condivisione – esordisce la capa Manuela – il campetto invernale che dura alcuni giorni di vita in comune, quando a febbraio è scoppiata l’emergenza Covid e l’isolamento obbligato. Forti di quella esperienza di unione e condivisione le ragazze e i ragazzi, giovani di età fra i 16 e i 20 anni, si sono interrogati su come potessero aiutare la loro comunità, nel pieno del senso del servizio che caratterizza l’azione di ciascun gruppo scout”.
“E’ nata così l’idea della botteghe, realizzare una serie di chiamate plurisettimanali tramite le piattaforme digitali in cui sono stati realizzati dei laboratori di manualità: origami, cucina e riuso creativo di materiali, ma anche letture animate per i più piccoli. La situazione era molto difficile, per noi e per i nostri coetanei; abbiamo pensato che fosse necessario portare un sorriso, ritrovarsi anche se a distanza. Abbiamo voluto fare compagnia, divertendoci e stimolando fantasia e la creatività. In quel momento erano state bloccate le relazioni; ci siamo attivate in modo concreto per essere presenti” è il racconto preciso di Valentina, scolte in servizio.
“Le azioni concrete sono state molto importanti – ci ricorda Paolo, capo del clan – perchè lo scout è cosa fa. Ma ciò che abbiamo realizzato ha avuto un senso ed ha funzionato perchè c’era una comunità; prima quella piccola del clan che poi via via si è allargata, rafforzandosi e crescendo con nuove relazioni”.
E’ l’importanza dei valori, quelli fondanti, cristiani nel caso del gruppo Agesci, che danno un senso all’azione: la rilettura della carta di clan – che corrisponde alla regola che il gruppo si sceglie, ne indica gli obiettivi dopo essere stata discussa e firmata da tutti i membri del gruppo – ha permesso di riflettere su cosa fosse lo spirito di servizio al tempo dell’emergenza; il compito è diventato arricchire la comunità, contribuire alla coesione e al mantenimento delle relazioni.
“Non ci siamo fermate neanche dopo la fine del lock down. In primavera avevamo approfondito il tema della scelte responsabili nei confronti dell’ambiente, a partire da quelle quotidiane e dagli stili di vita che consentano di impattare il meno possibile: ad esempio l’uso limitato della plastica, alimenti stagionali e a km zero – interviene Giulia, un’altra scolta in servizio presso il clan. “Ci eravamo informati; il passo successivo è stato rendere concreto ciò che avevamo appreso. Abbiamo deciso di fare un orto; coltivare la terra non è stato solo un segno fattivo ma anche coesione e condivisione; infatti i prodotti raccolti venivano donati al Forum delle famiglie, associazione locale che si è occupata di distribuirli a chi era in difficoltà”.
La ricerca di nuove relazioni con altri attori del territorio è stato un tratto distintivo di tutta l’attività del clan di Monastier in questo 2020: uscire all’esterno, testimoniare e gettare ponti. Per questo la candidatura al premio Gattamelata giunta da parte del Comune non è stata del tutto una sorpresa; corrisponde al voler essere comunità al tempo del Covid-19.
Oggi le attività sono riprese, seppur ridimensionate e modificate. Ma non sono dei surrogati qualsiasi, l’impegno è che continuino ad essere attività scout; c’è voglia di ritrovarsi, rispettando tutte le prescrizioni sanitarie e il distanziamento contro la diffusione del virus. “Le famiglie ci ringraziano; sappiamo che il rischio zero non esiste, nonostante tutte le precauzioni adottate secondo i protocolli sanitari e le indicazioni giunte dalla nostra comunità regionale. La disponibilità di grandi spazi, operare all’aperto, essere suddivisi in piccoli gruppi, aiuta; la voglia e la determinazione sono più forti del rischio di cui siamo consapevoli” precisa Manuela.
Scopri tutti i vincitori del premio Gattamelata 2020.